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La quercia come simbolo della famiglia

martedì 8 luglio 2008

In ricordo di Enrico Micheli


Dal sito Il Prisma-Sito di psicologia:

La notizia inaspettata e dolorosa della sua sua morte (articolo) mi ha portato a scrivere queste poche righe in suo ricordo.

Nonostante abbia incontrato il dr. Micheli poche volte, rispetto a quante avrei voluto, ho potuto respirare la grande passione che lo legava al suo lavoro con i bambini autistici e le loro famiglie.

Era una persona e un professionista leale, sincero, concreto e umile.

Veramente appassionato del suo lavoro, tanto da essere dispiaciuto e amareggiato nel suo cuore di come in Italia è stato travisato e “pasticciato”, come lui diceva, il TEACCH qui in Italia.

In tutti gli incontri che ho avuto con lui, si animava sempre sottolineando che bisognava recuperare il 'cuore' di questa filosofia che era proprio quella di prendersi veramente in carico tutte le difficoltà e tutti i problemi di questi bambini e delle loro famiglie.

Durante le sue lezioni, cercava in tutti modi di trasmettere non solo il suo sapere 'accademico' ma soprattutto il suo sapere 'emozionale', la sua esperienza, il suo amore e la sua passione per il lavoro che svolgeva, sempre con umiltà.

Vorrei riportare alcune frasi che gli ho sentito dire in tutte le occasioni in cui l'ho incontrato e la riflessione a cui mi hanno portato:

- “La conoscenza fa parte del processo di salute mentale”.

Nella versione precedente di questo sito c'era una frase proprio sulla conoscenza, concetto per me di fondamentale importanza. Conoscere vuol dire avere una possibilità di scelta maggiore, vuol dire non soccombere nel mare di informazioni che ci arrivano, vuol dire avere gli strumenti necessari per porsi degli obiettivi fattibili e non perdersi al primo insuccesso. Nell'ambito del lavoro questo si traduce nel dover coinvolgere gli operatori, ma soprattutto i genitori, nel processo educativo del loro bambino. Sono loro che devono essere portati pian piano alla conoscenza non solo del loro bambino, che già molto probabilmente conoscono meglio di chiunque altro, ma anche delle caratteristiche dell'autismo. Questo li aiuterà a discernere.

- “L'organizzazione fa la cura...quando la scuola è disorganizzata il bambino a scuola perde il 90% del suo tempo”

Ormai è assodato da una moltitudine di ricerche scientifiche che i bambini con autismo hanno bisogno di un intervento intensivo, le poche ore di terapia fatte settimanalmente “non servono a niente” (per riprendere alcune parole di Micheli). Il bambino passa veramente tante ore al giorno a scuola, e sono anche le migliori dal punto di vista dell'apprendimento. E' quindi fondamentale che la scuola sia ben organizzata per educare questi bambini nella modalità a loro più congeniali. “Il bambino autistico non può perdere tempo prezioso” (diceva spesso Micheli), questo non significa che il bambino dovrà stare seduto a tavolino in una modalità strutturata tutte le ore che passa a scuola, ma significa essere preparati professionalmente a saper insegnare al bambino con autismo non solo a 'studiare', ma anche a giocare, a fare la fila, ad aspettare il suo turno, a fare passeggiate, a mangiare a mensa.

La scuola, se non in grado di offrire questo, dovrebbe mettersi in discussione e chiedere aiuto ad esperti esterni ad essa.

Veramente ancora troppo spesso, nelle scuole i bambini sono lasciati a loro stessi.

- “I genitori devono essere coinvolti, informati e formati”

Il dr. Micheli teneva moltissimo alla formazione dei genitori, e nella mia esperienza lavorativa posso confermare l'importanza di questa frase. Riporto in proposito un breve scritto di Micheli: “L' effetto dell'informazione e formazione dei genitori non è soltanto diretto, il miglioramento del bambino, ma anche indiretto, il benessere di tutta la famiglia, la diminuzione del rischio di depressione o di altri aspetti negativi per la salute mentale degli adulti; e aumenta inoltre nei genitori la capacità di "durare" in un percorso che, come spesso diciamo ai papà e alle mamme che incontriamo, "non assomiglia ai cento metri piani ma a una maratona".

Questa è una responsabilità che noi professionisti non dobbiamo mai dimenticare di avere nei confronti dei genitori dei nostri piccoli pazienti.

- “Con l'autismo non è il linguaggio che veicola le informazioni”

E' proprio così, il bambino con autismo non ha come canale preferenziale quello del linguaggio per apprendere informazioni. Questo si verifica sia a livello di insegnamento di nuove abilità cognitive che anche per le abilità sociali.

Infatti, nel rapporto con le persone autistiche, sono importanti tutti gli strumenti di visualizzazione come la token economy, il diario visivo, le storie sociali, i pecs, il calendario per immagini. Cosa che ho visto fare sempre troppo poco, soprattutto quando il bambino o il ragazzo raggiungono una buona abilità di comprensione verbale. E’ come se scattasse nelle nostre teste una vocina che ci dice “ma lui capisce”. Il problema non è se capisce o non capisce, il problema è che, in casi come questi, continuiamo a associare la mente delle persone autistiche alla nostra, dimenticandoci che la loro funziona in modo diverso.

In uno degli incontri gli ho chiesto cosa pensasse di alcuni approcci che lui ha chiamato “new age” e riporto qui quello che ha scritto sul suo sito che ben racchiude la risposta che mi diede:

“Comunicazione Facilitata, Delacato, Auditory Training, Musicoterapia, Delfinoterapia, diete, secretina, ecc. L'ho chiamato gruppo "new age", perdonatemi questo termine un po' superficiale per un gruppo molto variegato, perché vi ho immesso interventi che non fanno riferimento a un unico modello teorico.

Questo gruppo aumenta la confusione. Guardando superficialmente l'insieme degli interventi che ho qui raccolto potrebbe sembrare un cocktail che mescola gli ingredienti dei due primi gruppi.

Fiducia nel fatto che il bambino ha, nascoste, le stesse abilità dei bambini a sviluppo tipico; rifiuto della valutazioni, dei numeri, dei test che potrebbero al contrario valutarne le vere abilità possedute, oltre ai limiti e alle difficoltà; l'attribuzione di effetti taumaturgici a componenti non misurabili né controllabili (nella CF per esempio, la fiducia tra facilitato e facilitatore che permette l'espressione di capacità cognitive ed espressive "nascoste" sotto la crosta dell'handicap); il linguaggio "scientifico", inteso come parlare di biochimica, neurologia, infezioni, vaccini, medicine, senza considerazione per le regole della conoscenza scientifica; come se il parlare di argomenti biologici o chimici fosse di per se qualcosa di scientifico, anche se in realtà si dà fiato a intuizioni, voci, teorie, ecc, che non hanno la benché minima conferma con l' umile ma necessario metodo scientifico.

E così compare la "aprassia" della Comunicazione Facilitata, la "lesione" del metodo Delacato, i problemi gastrointestinali della secretina, i problemi uditivi dell'auditory training, tutte cose che potrebbero caratterizzare molti singoli bambini, ma certamente non tutti.

Internet e il tam tam tra genitori è il canale di comunicazione preferito da questo filone, è rapido nell'annunciare successi, nella sua comunicazione fa appello a componenti emotive, a speranze, a illusioni, a legittimi desideri di por fine a gravi sofferenze.

Gli insuccessi e i limiti sono dovuti a congiure della scienza ufficiale, agli scarsi soldi investiti nella ricerca, al tentativo da parte di non bene identificati baroni di coprire la verità.

E di nuovo, come con la psicanalisi, il bambino vero, quello che è indispensabile conoscere e rispettare, viene oscurato da un bambino immaginato, e di nuovo si "perdono i treni".

Credo che sia necessario sostenere la necessità, l'opportunità, l'utilità di una scelta tra questi modelli di fondo e il pericolo e il danno derivato da scelte non chiare o confusioni.

Non sempre la necessità di una scelta è chiara; per esempio, molti operatori legati al modello psicodinamico vedono la necessità e l'efficacia di interventi educativi, ma non si decidono a fare una scelta chiara perché, giustamente interessati alla relazione con il bambino e alla sua crescita emotiva oltre che cognitiva o pratica, pensano che l'unico modello che contempli attenzione a queste variabili sia quello psicodinamico.

Questo purtroppo è frutto di una scarsa diffusione dell'importanza attribuita alle emozioni, alle relazioni, al benessere personale dal modello di riferimento degli interventi psicoeducativi, e che oggi non c'è più bisogno di psicanalisi per occuparsi di questi aspetti fondamentali.

Una volta fatta questa scelta, buona parte della confusione scompare, e ci si può finalmente dedicare a ricavare il massimo possibile, per l'interesse del bambino e dei suoi famigliari, dalle pratiche di intervento coerenti con questa scelta, e a scartare come rumore e confusione inutile e dannosa i continui tentativi di "inquinare" la scelta con proposte che fanno capo a un gruppo che ha modelli di fondo differenti.

Il modello psicoeducativo è quello da me scelto.

Naturalmente altri potrebbero fare altre scelte; possono buttarsi con fede nel mondo dei segreti e misteri della natura con occhi prescientifici; l'importante è che questa scelta, se fatta, sia fatta da chi è in grado e ha il compito di discriminare, è consapevole di aver fatto una scelta, di averla fatta sulla base di valide informazioni. La confusione viene dalla non chiara discriminazione, e il danno che ne deriva è l'oscillazione tra i due mondi: quello delle conoscenze derivate dall'osservazione e del severo controllo e quello dei "miracoli" delle cure alternative. Il danno si ha quando un intervento che da risultati lenti ma probabilmente destinati a continuare nel tempo viene abbandonato per l'ultima moda di trattamento alternativo, alterando in questo modo il sicuro cammino, che è uno dei requisiti per una efficacia del trattamento con le persone autistiche. Il danno è la sfiducia che ne deriva per ogni intervento. Altro danno della confusione è l'alto prezzo che le illusioni chiedono di pagare, a volte in termini di soldi, ma spesso anche solo in termini di sconvolgimento di un sistema di vita che già è faticoso: pensate alle diete, che in vista di risultati mai sostanzialmente documentati chiedono di contrastare continuamente i desideri alimentari del bambino, sconvolgono le abitudini alimentari di una famiglia e a volte sono dannose in quanto tolgono sostanze nutritive fondamentali.

Rispettando le scelte e le credenze diverse dalle mie, io non posso che dichiarare che il mio sforzo è quello di sostenere la fiducia, la fatica, di persone fortemente provate, aiutarli a tener duro, a continuare, a modificare gli interventi con gradualità e attento studio. In scienza e coscienza, questo è il lavoro da fare, dato che le evidenze scientifiche sostengono questo atteggiamento. E' compito degli psichiatri, degli psicologi, dei clinici, riflettere seriamente su questa scelta, e svolgere in modo più assertivo la loro funzione di guida e informazione per le persone che a loro si rivolgono, senza quei timori che spesso lasciano aperta la porta alla confusione (E. Micheli)".

In conclusione, posso dire che tra le cose più importanti che Micheli ha fatto per me, è l'aver rivaluto il TEACCH e aver capito finalmente la sua filosofia, storpiata dalla maggior parte degli italiani, e la potenzialità che offre nel riconoscere dignità al bambino autistico. (Si possono legger in proposito le pagine che lui ha scritto sul suo sito).

L'individualizzazione, la flessibilità e l'indipendenza sono concetti fondamentali e obiettivi che mi pongo davanti e con ogni bambino e famiglia che incontro nel mio lavoro grazie agli insegnamenti avuti da Micheli.

Grazie, caro Micheli, di tutto. Buon viaggio..e buon riposo.


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